Domenica 5 giugno i Cavalieri della Bigorda d’Oro, che si terrà il prossimo 11 giugno, hanno prestato giuramento prima del Torneo serale dei giovanissimi Alfieri Bandieranti e Musici. I protagonisti della giostra serale saranno: Enrico Gnagnarella per il Borgo Durbecco, Cela Gertian per il Rione Giallo, Daniele Maretti per il Rione Nero, Daniele Leri per il Rione Rosso (che presterà giuramento sabato in Piazza prima che il corteo storico raggiunga lo Stadio B Neri) e Stefano Venturelli per il Rione Verde.
Il Giuramento dei cavalieri è uno dei momenti più emozionanti delle manifestazioni del mese di giugno, scopriamo nel dettaglio il momento del Giuramento e le sue origine storiche.
Il Giuramento nel Regolamento Organizzativo del Niballo
Alle ore 21.00, al rintocco della Torre civica, i cinque cortei rionali fanno il loro ingresso in Piazza del Popolo con cavaliere e cavallo da gara e si posizionano sotto al Palazzo del Podestà, in attesa dell’ingresso del Gruppo Municipale, che con i propri tamburi dal ritmo lento e cadenzato, si schiera in piazza. Gli alabardieri e il Conestabile, l’ufficiale al loro comando, si posizionano a guardia del palco sul quale salgono il Gonfalone cittadino e l’araldo municipale. Poi uno squillo di chiarine e l’araldo legge il bando del Palio, seguito da un altro squillo e l’annuncio del Maestro di Campo che dà il via al giuramento dei cavalieri. Ecco qui gli articoli del Regolamento Organizzativo:
Art. 20.1. – Ogni Cavaliere, accompagnato dal Tamburino rionale seguito dal Portastendardo scortato dal Priore con i due armati e dal Palafreniere con il cavallo da gara, si porta di fronte al palco indi si presenta all’Araldo e al Maestro di Campo per formulare il Giuramento.
Art. 20.2. – L’Araldo municipale legge ad ogni cavaliere la seguente formula:
D: Cavaliere il tuo nome? R:…………….
D: Per quale Rione combatterai? R: ……………
D: Il nome del tuo cavallo? R:…………….
D: Ti accettiamo a combattere per il Rione………………..; l’onore ed il valore ti conducano nella competizione e la cavalleria ti sia di consiglio. Giuralo! R: Lo giuro!
20.3. – Ad ogni giuramento il Gonfalone municipale viene abbassato: il Cavaliere stende la mano destra su di esso mentre pronuncia “Lo giuro!”.
I tifosi esultano, il cavaliere prescelto è ora designato a correre e anche il cavallo da gara è stato rivelato. Una cerimonia semplice, ma dalle conseguenze importanti: un giuramento di fedeltà fatto non solo verso il proprio rione, ma anche verso quelle leggi di cavalleria che impongono lealtà e onore. Un’usanza che per i cavalieri del Palio (ma anche della Bigorda d’Oro) è un atto immancabile, tanto che se per caso uno dei cavalieri non avesse modo di partecipare, dovrà recuperare il giuramento il giorno della gara, non potendo altrimenti gareggiare.
Il Giuramento nel Medioevo

Figura 1 – Giuramento, 1964. Giuramento del cavaliere del Rione Verde.
Al giorno d’oggi è facile immaginare un cavaliere che presta giuramento di fedeltà al proprio signore e poi parte per compiere grandi imprese e salvare fanciulle in pericolo, situazioni che nella letteratura e nel cinema spesso vengono riproposte, ma che finiscono per mostrare un Medioevo lontano dalla realtà. Di solito si diventava cavalieri in giovane età, tramite una cerimonia detta “investitura”, in occasione dell’incontro con un Re. Carlo e Galeotto Manfredi, per esempio, signori di Faenza nel periodo di massimo splendore della signoria, furono investiti cavalieri da Federico III, di passaggio a Bologna nel 1452. Delle nobili avventure per loro non c’è traccia, il cavalierato aveva un significato politico ed era destinato ai figli delle famiglie più importanti, che spesso facevano della guerra il loro mestiere. I Manfredi, per esempio, erano usi a mettersi al soldo di Firenze, Milano o Venezia (ma non solo) e andare a combattere nelle guerre più o menograndi in giro per l’Italia, guadagnando così il necessario per rimpinguare il bilancio faentino, spesso in serie difficoltà economiche. In questi casi il rapporto di fedeltà tra cavaliere e Signore rispecchiava più un rapporto d’affari: con un inizio, una fine e un compenso. Delle nobili intenzioni e delle leggi della cavalleria si preferiva fare a meno, a favore di un più realistico guadagno monetario, politico o territoriale. Per dare un’idea di come questi calcoli potessero portare a situazioni che oggi sembrerebbero assurde, basti dire che nel 1438, i fratelli Guidantonio e Astorgio Manfredi, dopo un periodo passato al soldo di Venezia, decisero di andare al servizio di fazioni in conflitto tra loro e cioè di Firenze e Milano, finendo per combattere le stesse guerre su fronti opposti. Questo però non deve far pensare che per la società medievale, abituata al mutare delle alleanze, un giuramento non avesse valore, anzi. Il giuramento, infatti, era uno strumento largamente usato in questo periodo anche a fini processuali, dove assume carattere di prova: i prestatori di giuramento lo fanno per confermare accuse o discolparsi da esse e un riflesso di questo periodo lo troviamo ancora oggi nel giuramento che si presta prima di testimoniare in tribunale. In questo senso la cerimonia dei cavalieri del Niballo più che al giuramento processuale si rifà al giuramento di fedeltà, che fin dai primi anni di scuola si associa al vassallaggio, dove un vassallo giura fedeltà al proprio signore (feudatario) ricevendo in cambio il potere su un feudo.
Giuramento di fedeltà come promessa di essere fedeli a una persona o al potere da essa

Figura 2 – Giuramento, 1995. Il Giuramento del cavaliere del Rione Giallo (New Foto Video).
I Manfredi stessi, Signori di Faenza, erano in realtà Vicari apostolici e cioè vassalli del Papa, così come tutti gli altri Signori e Signorotti romagnoli: dai vicini Ordelaffi di Forlì ai più lontani Malatesta di Rimini. Ogni dieci anni si recavano a Roma per rinnovare il proprio giuramento (e pagare un tributo alla Santa Sede) assicurandosi così che continuasse il loro potere su Faenza. Era inevitabile che anche qui i giochi politici minassero, spesso e volentieri, tali rapporti di fedeltà. Un esempio di questo accade nel 1477, quando Carlo Manfredi e il vescovo Federico, suo fratello, perdono il controllo della signoria a favore di un altro fratello: Galeotto Manfredi. Quest’ultimo, supportato dai fiorentini, sperava in un riconoscimento veloce come vicario da parte della Santa Sede, ma il ritardare del documento gli creò non poche difficoltà e per ottenere maggior favore politico considerò l’idea di sposare Lucrezia Pico della Mirandola, vicina a Girolamo Riario, nipote del Papa e signore di Forlì. Le cose poi non andarono così, Galeotto venne confermato Vicario e seguendo il consiglio di Lorenzo il Magnifico sposò Francesca Bentivoglio, che anni dopo insieme a vari sicari lo pugnalerà a morte, ma questa è un’altra storia. Con la fine del Medioevo e delle signorie, le investiture dei cavalieri e i giuramenti come vassalli andranno diminuendo, ma l’importanza del giuramento rimane, pur cambiando nel tempo. Oggi uno dei giuramenti più conosciuti è quello che i medici fanno all’inizio della loro carriera, moderna versione dell’antico Giuramento di Ippocrate, secondo cui il nuovo dottore si impegna a rispettare i principi deontologici ed etici della nuova professione.
Il Giuramento in epoca moderna e ciò che resta oggi
All’insegna del medioevale giuramento di fedeltà c’è quello che il nostro Presidente della Repubblica compie al momento della nomina, non verso un qualche signore, ma nei confronti di tutti i cittadini. La formula “Giuro di essere fedele alla Repubblica e di osservarne lealmente la Costituzione” è allo stesso tempo un impegno preso verso i valori fondanti dello Stato, ma anche un segno, un momento necessario a distinguere l’inizio del mandato del nuovo Presidente che entra nelle sue funzioni. L’importanza di questo passaggio è data non solo dal nutrito cerimoniale che guida i primi passi dei neoeletti presidenti, ma anche dalla risonanza mediatica che hanno questi momenti. Anche se nei fatti il Presidente è già stato eletto dal Parlamento, ognuno è consapevole che quella breve frase pronunciata a voce alta è segno di accettazione dell’incarico e non se ne può fare a meno. Di giuramenti di questo genere, nell’ambito della pubblica amministrazione e delle forze armate, ce ne sono tanti, a partire dal Primo ministro per poi scendere fino ai sindaci, che all’inizio del loro mandato giurano fedeltà alla Costituzione. Sono momenti fondamentali della vita politica e amministrativa moderna e se un sindaco o un Presidente della Repubblica vengono rieletti, devono rinnovare il giuramento. Anche nel giuramento del Niballo, se lo stesso cavaliere corre più volte, ogni anno dovrà comunque rinnovarlo.
Cosa è cambiato quindi dal tempo dei Manfredi a oggi? L’importanza della fedeltà e della parola data è rimasta immutata, ma se nel Quattrocento si giurava fedeltà a una persona (signore, feudatario, etc), oggi è un atto che si compie verso un sistema di valori o un’organizzazione come, ad esempio, lo Stato o la Costituzione, così come i cavalieri del Niballo giurano fedeltà ai colori del proprio Rione.
(In copertina, le immagini dei Cavalieri che hanno giurato lo scorso 5 giugno in Piazza del Popolo)
di Nicola Solaroli