Davanti a un folto gruppo di giornalisti, rionali e semplici appassionati, durante la conferenza stampa riguardo all’edizione 2017 del Palio del Niballo, il Rione Nero ha presentato due nuove figure del corteo storico: le vivandiere e i priori della Confraternita della Croce. Continua così il rinnovamento dei costumi della sfilata storica, volto a dare maggiore risalto alle peculiarità del proprio rione. Dopo la presentazione delle figure che il rione di porta Ravegnana metterà nella sfilata del Palio del Niballo 2017, analizziamo dal punto di vista storico questi personaggi.
Le vivandiere
Addetto a “condurre la compara e mantenere l’ordine” è il rotellino (come previsto esplicitamente dal regolamento organizzativo), figura introdotta nel 1988 sul modello del palio di Siena. Da alcuni anni a questa parte si è però avvertita la necessità di introdurre non solo una figura maschile, ma anche una femminile con i medesimi compiti e doveri. Il primo fu il Rione Verde, che nel 2007 presentò la proposta di creare un nuovo costume, coniugando la necessità di dare da bere ai figuranti con boccali e bicchieri di ceramica, anziché in plastica, lungo il corteo. Seguì nel 2011 il Gruppo Municipale. La figura della vivandiera infatti, sebbene non prevista dal regolamento, stando alle disposizioni del maestro di campo ha i medesimi doveri del rotellino, diventando così una figura addetta al controllo dell’ordine del proprio gruppo storico. Ma facciamo un passo indietro, per capire meglio la scelta storica di queste figure.
Il termine compare, nel lessico militare, solo alla fine del Settecento: con la spinta rivoluzionaria francese anche le donne erano chiamate a compiti ausiliari alle armate, poiché tutti gli uomini dovevano imbracciare un moschetto per respingere, a partire dal 1792, la Prima Coalizione. Diversamente, durante il medioevo gli eserciti si muovevano razziando i viveri nei luoghi dove si spostavano, a scapito degli sfortunati contadini del posto.
Tuttavia la necessità di dare maggiore risalto al ruolo della donna all’interno del corteo spinge oggi anche il Rione Nero a dotarsi di questa importante figura. Non è tanto una divisione “di genere”, ma la volontà di arricchire una passeggiata storica con costumi che diano risalto ai ruoli e che siano a loro volta evidenziati dal portamento – ovviamente differente – di un uomo o di una donna.
I priori della Confraternita della Croce
Chi ha ricostruito le vicende dell’Inquisizione faentina ha descritto, assieme al funzionamento del tribunale, tutto quanto stava attorno al “sistema inquisitorio”. A Faenza la prima sede di questo strumento di controllo delle anime fu la chiesa ed il convento di San Francesco: non stupisce infatti che gli ordini mendicanti, come i francescani e soprattutto i domenicani, si fossero fatti portatori di una nuova religiosità, fondata anche sulla repressione delle forme di eterodossia.
Accanto a questi conventi sorsero, in tutta Italia, confraternite e congregazioni laicali, addetti non solo all’ammonimento delle anime in odore di eresia, ma anche vero e proprio braccio armato degli inquisitori, pronti ad intervenire per stroncare chi non si fosse uniformato. È quanto afferma Francesco Lanzoni nel suo classico testo “la Controriforma a Faenza” del 1925, specificando che dal 1475 operava a Faenza una società o congregazione di Santa Croce. Tuttavia l’identità di questa congregazione resta per la città avvolta nel mistero, poiché la sua documentazione durante il periodo manfredo non è pervenuta. Possiamo però azzardare qualche considerazione.
Sappiamo infatti che Faenza, fin dal Duecento, fu un importante centro ereticale: Armanno Pungilupo, cataro ferrarese, racconta di un suo soggiorno a Rimini dove conobbe una donna di Faenza, Mirabella, anch’essa contagiata dalla nuova religione dualistica. Come successe poi per la diffusione del Protestantesimo a Faenza, è facile intuire come proprio la vicinanza ad una delle più grosse realtà catare (la chiesa di Bagnolo San Vito in provincia di Mantova) avesse fatto molti seguaci tra i Faentini. Ma non è tutto.
Erano anche molto diffuse pratiche “stregonesche” volte a propiziare – o a maledire – i propri nemici in tutti gli ambiti della vita. L’uso infatti di filtri o amuleti giunge sino ai giorni nostri, anche se per la città di Faenza è documentato un caso unico di un inquisito per stregoneria. Non una donna – come si potrebbe pensare – ma un uomo, o meglio un sacerdote. Don Domenico Tonini da Limisano (località presso Rocca San Casciano), che svolgeva il proprio ministero in Riolo Terme, fu infatti condotto davanti all’inquisitore generale a Faenza nel giugno del 1526, con l’accusa di fare “filtri” e pratiche stregonesche.
Lo accompagnano altri due inquisiti, Rosso da Brunoro, barbiere, e Filippo Calligari, notaio: questi poterono tornare alle loro case, mentre per don Domenico la condanna fu quella di essere murato vivo dentro la propria casa, e alla sua morte i beni, incamerati dall’Inquisizione, vennero alienati.
Purtroppo non abbiamo tracce di processi precedenti a questa data, ma facciamo attenzione: non si deve pensare che la mancanza di fonti sia sintomatica di una mancanza di eretici. Al contrario, si è calcolato che durante il periodo successivo alla riforma protestante (siamo poco dopo la fine della signoria manfreda) l’1% della popolazione faentina fosse stata sentita dall’inquisitore. Ovviamente questi fenomeni hanno una lenta maturazione, e nascono da più cause tra cui, un sedimentato senso di insofferenza verso la religione cattolica e la ricerca di pratiche alternative.
Fare rivivere dentro al corteo le figure dei priori della Compagnia della Croce significa non solo ricordare una lunga fase di eterodossia, ma dare corpo ad uno degli elementi più significativi della storia medievale e moderna, l’inquisizione.
Mattia Randi
per le immagini si ringrazia Giò foto