Proseguiamo questo viaggio all’interno delle tracce manfrediane, spostandoci leggermente dal luogo dove ci eravamo lasciati. Il palazzo del Comune, posto in piazza del Popolo, conserva – nonostante gli interventi del Campidori, che nel 1721 creò l’appartamento del Governatore Pontificio, e i decori del 1728 ad opera del bolognese Vittorio Maria Bigari – alcuni elementi che possono aiutarci a ricostruire la sua precedente forma.

PALAZZO MANFREDI: IL SIMBOLO DELLA SIGNORIA

Anzitutto sappiamo che esisteva un antico palazzo che aveva un fronte sulla piazza “del pietrone”, e il lato lungo che costeggiava il voltone della Molinella: alcuni antichi documenti notarili infatti parlano di stipule avvenute “presso il Palazzo del Comune”. Si trattava, sostanzialmente, dell’area che occupa attualmente lo scalone d’ingresso (sia dal lato di piazza Nenni che dalla piazza del Popolo) e di una porzione del Salone delle Bandiere.

Il primo intervento, in ordine cronologico, è attribuibile ad Astorgio I Manfredi (1345-1405), che nel XIV secolo diede una prima impostazione al palazzo che diverrà, successivamente, sua residenza e dei suoi successori. Tuttavia fu solo con Carlo II Manfredi (1439-1484) che si accelerò la risistemazione dello stesso, all’interno di un disegno più ampio di “rinnovamento della città” che tanto scompiglio avrebbe creato a Faenza per la radicalità dei suoi interventi.

Nel 1470 Carlo fece demolire l’antico voltone gotico (voluto dal bisavolo Astorgio nel 1394) e lo fece sostituire con uno nuovo, tra corso Mazzini e l’attuale Voltone della Molinella. Successivamente fece realizzare, sulla porzione del proprio palazzo, due colonnati (uno sovrapposto all’altro) che saranno poi ripresi tra il XVIII ed il XIX secolo, completando il giro non solo del Palazzo del Governatore, ma che saranno anche apportati al palazzo del Podestà. Il signore di Faenza si diede inoltre ad abbellire la piazza, levando l’antico retaggio del “pietrone” posto al centro della stessa e dove i pubblici penitenti per reati fiscali dovevano battere le proprie terga come punizione per le proprie malefatte.

Ma presto la signoria di Carlo II rovinò: egli fu cacciato nel 1477 assieme al fratello, il vescovo Federico, anche a causa dei suoi interventi di razionalizzazione della città. La distruzione dei numerosi portici di legno che si affacciavano sulle vie cittadine, oltre al ridimensionamento di alcune botteghe, avevano fatto scattare una scintilla inestinguibile, con la quale il popolo si ribellò al suo Signore e lo sostituì col fratello Galetto.

Oggi il palazzo del Comune, oltre al colonnato, presenta ancora interessanti tracce del passato medievale: il salone delle bandiere, col suo soffitto a cassettoni; la cimasa dello stesso, dove sono riportati alcuni blasoni delle più importanti casate cittadine; la bifora, in pietra locale.

IL PALAZZO DEL PODESTA’: IL TERZO POTERE FAENTINO

Il palazzo del Podestà è opposto al palazzo del Comune. Non è un caso: in una sorta di geografia politica della città, nella piazza i tre poteri si spartivano gli spazi. Da un lato il vescovo, dall’altro la Signoria e dal lato opposto a quest’ultima il Popolo.

Il podestà è una figura che nasce dalla crisi del primo governo comunale (retto da un consiglio composto da sei a dodici membri) ed è volto a dare nuova vitalità a questa straordinaria storia che si sviluppa nel nord Italia. A Faenza l’ufficio podestarile è istituito a metà del XII secolo: l’elenco dei podestà ci fa capire l’influenza che le altre città avevano su Faenza, e in che rapporti essa era con la fazione guelfa o ghibellina. Non solo. Non si pensi che con l’arrivo della signoria manfreda il podestà perdette tutte le sue prerogative di giudice e di legislatore: il più famoso dei podestà faentini, Franco Sacchetti, fu in carica nel 1396, mentre era signore della città Astorgio I Manfredi.

Questo palazzo è, insomma, una testimonianza del sistema politico dell’epoca. Ma com’era durante il periodo medievale? Sulla data di costruzione nutriamo alcuni dubbi: recentemente è stata ipotizzata come data di termine dei lavori il 1175, poiché è conservata una pergamena che afferma come fosse stata vergata “nel palazzo del podestà di Faenza”. Inoltre, in quell’epoca, la struttura doveva essere molto più imponente rispetto ad oggi. Come il palazzo del Comune, al primo piano ospitava numerose botteghe, che furono smantellate durante la risistemazione della piazza ad opera di Carlo II. Nel piano superiore vi era la stanza del Vicario del Podestà, mentre rimangono ancora intatti i finestroni romanici (sono pentafore e trifore), anch’esse in pietra locale, che lasciano passare la luce nel grande stanzone, culminanti in archi in laterizio. Le cronache poi riportano che nel 1270 venne abbattuta la scala che faceva salire al piano superiore per fare posto al balcone del palazzo detto “dell’arengario”, cioè da dove si arringano le folle. Un’altra scala, fu eretta pochi anni dopo, e fu detta “dei baratti”, poiché ai suoi piedi si svolgevano i giochi d’azzardo. Come detto, oggi rimane una porzione del palazzo originale: esso infatti giungeva sino all’attuale via Marescalchi, mentre internamente aveva due corti divise da una via che si apriva sino alla piazza del Popolo. Vi era una torre, con una campana, che chiamava all’adunata i cittadini in armi. Il podestà aveva il suo appartamento nell’angolo con l’attuale corso Saffi, e nello stesso palazzo trovava posto una chiesa e, soprattutto, le carceri e le stalle.

Nel Settecento il palazzo venne ridimensionato, e il grande salone venne adibito a teatro pubblico. Molte delle strutture precedenti vennero atterrate o riutilizzate. Inoltre nel novecento altri importanti interventi – con la consulenza del bolognese Alfonso Rubiani – portano al ripristino della sala grande e dei finestroni, pur con demistificazioni di questa struttura che, nel tempo, aveva mantenuto intatto il suo sapore di medioevo.

Mattia Randi