Avevo già iniziato ad occuparmi di alcune famiglie vissute nel territorio rionale del ‘Nero’. Ma la trattazione non è sempre esauriente e definitiva, dal momento che occorre ricostruire i diversi profili biografici attraverso ricerche molto lunghe e complesse in ambienti di archivio e biblioteche, civiche ed ecclesiastiche. Questo contributo, dunque, si limiterà a ricucire rapidamente quanto è poco noto e sparpagliato qua e là in alcuni documenti meritori di attenzione.

Dopo i Quarantini, dicevo, è il turno dei Beccalua o Beccaluva. Di questa famiglia sappiamo che il suo stemma, leggibile nella voluminosa raccolta di cronache, monografie, studi, memorie e carte – molte delle quali compilate, trascritte o raccolte dall’abate G.B. Tondini – appartenute a Bartolomeo Righi (sec. XIX), rappresenta un ricco grappolo d’uva in campo blu, in una cornice con ornamenti e decorazioni a fogliame. Meglio è possibile leggere nei blasonari Baccarini e Calzi.

La dispersione dei documenti faentini: il lavoro dello storico per ricostruire la storia della nostra città

Si tratta di una famiglia del Rione Nero, che ha avuto un certo prestigio nel contesto cittadino della Signoria prima e, dal 1509 in quello dello Stato della Chiesa, sotto il cui governo rimase ininterrottamente fino al 1797. I nomi di alcuni membri della Casa dei Beccaluva, infatti, sono ricordati tra i più influenti priori e consiglieri della città. Non mancarono altri che si distinsero per la propria attività di notai al servizio della Signoria manfrediana.

A tal proposito c’è da aver presente che il patrimonio bibliotecario e archivistico dei Manfredi, ben indagato con finezza da mons. Francesco Lanzoni, Anna Rosa Gentilini e Marco Mazzotti, è andato in buona parte perduto, insieme a tutta la documentazione che era di stretta attinenza con l’archivio comunale: infatti, quando la Signoria si irrobustisce a partire da Gian Galeazzo Manfredi, l’archivio della Signoria collimerà via via con quello comunale, a tal punto che saranno sempre più intrecciati gli interessi del pubblico del Comune con quelli del privato della Signoria, se bisogna dar peso al fatto che gli Statuti di Faenza del 1413 ordinavano e stabilivano che i documenti di maggior importanza del Comune venissero custoditi «in uno scrineo Comunis Fav[entiae] quod est super sacristiam Sancti Francisci in quadam capsetta jura infrascripta dicti Comunis etc.», in uno scrigno, cioè, posto sopra la sacrestia della chiesa di San Francesco. Successive vicende e dispersioni fanno sì che tra Ravenna e l’Archivio di Stato di Roma si scorporino molte carte, pergamene, documenti. Giusto per fare un esempio, nell’Archivio di Stato romano si conserva una pergamena nella quale si legge l’intesa stretta il 4 dicembre 1470 davanti al notaio Alberto de Picininis tra Carlo, Galeotto, Federico e Lancellotto de Manfredis, eredi del loro padre Astorgio II e di Giovanni Galiazzo, pure de Manfredis.

Anche a Faenza gli archivi delle famiglie aristocratiche e nobiliari, che dicono molto della vita della città in epoca manfrediana fra Tre e Cinquecento, risentiranno di una profonda frammentazione per cause belliche o per via di una scarsa attenzione da parte degli eredi.

Il notaio Francesco Beccaluva e il suo operato durante la signoria di Carlo II Manfredi

Stemma della famiglia Beccaluva, blasonario Baccarini, Biblioteca comunale di Faenza, p. 168, 17.

Resta invece compatto e pressoché integro l’archivio notarile oggi conservato presso la Sezione di Faenza dell’Archivio di Stato di Ravenna. Gli atti più remoti risalgono al 1377. Alla fine del Trecento sappiamo di documenti rogati da «ser Guidonem Beccaluva», che attestò un lascito da parte di Silvester de Bazulis alla corporazione di santo Nevolone di «tornaturas quatuordecim terrae in scola Ronco», cioè “di quattrodici tornature di terreno nella parrocchia di Ronco”, ma tale archivio riscuote una notevole importanza per essere custode diretto di tutto ciò che poté occorrere nel periodo della signoria di Carlo II (1468-77), quando tra i notai estensori di atti fondamentali ritroviamo il nome di un membro della famiglia Beccaluva: si tratta del notaio Francesco, attivo in numerosi atti rogitali, alcuni pertinenti la Signoria (anche se Alberto Piccinini risulta il notaio ‘ufficiale’ della Signoria manfreda) o anche la chiesa e l’episcopato faentini, come dimostra il caso della donazione fatta da «Jachobettus Cecharelli de Ravenna in suo testamento rogato a q. ser Francisco Beccaluva, reliquit bona sua distribuenda ad beneplacito Episcopi Faventini», cioè da “Giacometto Cecarelli di Ravenna nel suo testamento rogato da ser Francesco Beccaluva, [che] lasciò che i suoi beni fossero distribuiti con il consenso del vescovo di Faenza”.

Il legame con la ceramica: la famiglia Beccaluva commissionò un curioso boccale

boccale “Beccaluva”, già in possesso del conte Dionigi Zauli Naldi (tratto da: Faenza, Tipografia F. Lega, 1923, anno XI, tav. V.

Diversi invece sono i notai che rogano per conto del Capitolo Cattedrale, anche se dal 1477 si intervallano quasi esclusivamente Gaspare Cattoli e Guido Maria Beccaluva, cui si aggiunge in un secondo momento Francesco Maria Scardavi.

È merito delle note storiche e tecniche di Giuseppe Liverani e dello studio del conte Dionigi Zauli Naldi aver percorso alcune vicende della famiglia Beccaluva, quando agli inizi del Quattrocento pare avesse commissionato la modellatura di un curioso boccale, caratterizzato da una dolce decorazione su fondo bianco maiolicato con alcune sfumature rosate, che rappresenta un gallo dalla cresta protuberante, chinato con la testa a beccare un grappolo di bacche o più credibilmente un grappolo d’uva, intrecciando contaminazioni d’arte maiolicaria persiana, italiana e faentina.

Francesco Beccaluva, rappresentante di porta Ravegnana presso la Signoria

La famiglia, probabilmente stabilitasi nelle vicinanze della «c[apella] s[ancte] Marie Guidonis – corrisponde al luogo in cui dal sec. XIII, se non prima, vi era una cappella di Santa Maria Guidonis, forse perché il Guido che la fondò pare sia stato proprio il Guido di Manfredo del sec. XII; poi sede di una chiesa parrocchiale dedicata a San Biagio Martire, nel 1781 minacciante rovina e soppressa nel 1822, e non meno di 100 anni fa sede del Caffè Orfeo, in prossimità della loggia degli orefici – ad bancum apotece specierie magistri Antonii Ser Succii (?)sita iuxta Ser Franciscum Beccaluvam» (Act. Not., 1 dicembre 1467), trasse beneficio dal notevole prestigio che alcuni suoi membri ebbero nel contesto del governo cittadino, a partire da Guido Beccaluva – giusto per richiamare un esempio –, figlio di Ser Francesco «notarius faventinus», uno degli otto notai prescelti all’inizio del 1477 per prestare la loro opera legale alla commissione di soprastanti nominata da Carlo II Manfredi per il censimento delle terre del faentino, nonché eletto varie volte all’amministrazione della cosa pubblica sotto Carlo e sotto Galeotto, quale rappresentante di porta Ravegnana. Egli fu apprezzato dalla Signoria e fu fidato dei canonici della Cattedrale di Faenza, tanto da richiedergli il 19 settembre 1486 di rogare un atto (Arch. Not. di Faenza, reg. ix, 1483-1489, cc. 115v-116r) con cui affidavano al pittore locale Ser Lorenzo Cattoli l’incarico di dipingere i vetri di un occhio della cappella maggiore della chiesa cattedrale, precisando minutamente il soggetto della pittura, ritraendo «ymaginem domini nostri yesu christi existentem super aquas et destera ipsius liberantem beatum petrum apostulum, qui mergebatur in fluctibus».Si richiedeva infine che«dicte jmagines possint clare videri et discernj stando in dicta Ecclesia in choro et corpore dicte Ecclesie ab hominibus et personis jnspicientibus».

Inizio di Corso Mazzini, con la loggia “dei signori” o “degli orefici”, con il Caffè Orfeo già sede della chiesa di Santa Maria Guidonis, poi San Biagio, 1910.

Guido Beccaluva e la ‘riconquista’ di Solarolo

Guido Maria Beccaluva è stato invece membro del Consilium Antianorume questa carica viene ricoperta anche nel primo bimestre del 1489, mentre nel 1483 ricopre la carica di Consigliere.

Nel 1511 Guido Maria è tra i cittadini più illustri incaricati di risolvere con gli Anziani tutte le questioni che riguardano la comunità di Solarolo, che viene restituita al Papa Giulio II e al governo di Faenza insieme al castello, di cui si sono impadroniti gli Alidosi.

Andrea di Filippo, custode delle rappresentazioni teatrali

Altro membro rappresentativo dei Beccaluva è Andrea di Filippo, che ebbe incarichi di rilievo all’interno dell’amministrazione pubblica: lo scopriamo difatti nel 1486 essere il custode di quello che il principe faentino designò come spazio dedicato alle rappresentazioni teatrali all’interno di un più imprecisato punto nel Palatium Populi, edificio di residenza dei rettori della cosa pubblica, già sede delle magistrature popolari del Medioevo e, sin dal 1232, dimora dei Signori della città, anche se ufficialmente impadronitisi dell’edificio dal 1313, anno in cui Francesco Manfredi «ascendit palatium Faventiae pro defensione populi, et postea anno 1314 primo januarii factus fuit capitaneus populi Faventini» (Azzurrini, Chronica Breviora) dando origine così alla Signoria manfrediana.

Ancora tra i membri dell’Anzianato ricordiamo i nomi dei consiglieri Leonello (1514), di Achille Beccaluva faventinus, che alla data del 12 maggio 1528 «stetit Fugnani propter pestem» (“si stabilì a Fognano a causa della peste”), divenendo poi priore nel 1522 e consigliere civico nel 1525. Al 13 giugno 1601, per il bimestre luglio-agosto, viene fatta risalire la nomina di Nicolò Beccaluva a consigliere per il rione di porta Imolese, mentre quella del cronista ser Bernardino Azzurrini a consigliere per porta Ponte. Sappiamo, infine, di altri membri della famiglia che appartennero al consiglierato della città, quali Cesare nel 1552, Girolamo nel 1562 e Gregorio nel 1587.

Michele Orlando

 

Foto di copertina: Stemma della famiglia Beccaluva, blasonario Righi (sec. XIX), Biblioteca comunale di Faenza.