Tra il 1943 e il 1999 veniva pubblicato, ad opera di Corrado Chelazzi, il “Catalogo della raccolta di statuti, consuetudini, leggi, decreti, ordini e privilegi dei comuni, delle associazioni e degli enti locali italiani dal Medioevo alla fine del secolo XVIII”, un monumento documentale che attestava l’identificazione, all’interno della Biblioteca del Senato della Repubblica in Roma, di un fondo storico tra i più notevoli in Italia, ovvero la più importante raccolta, sul piano nazionale, di manoscritti, incunaboli e migliaia di edizioni a stampa dei secoli XVI-XX, contenenti gli statuti dei Comuni e delle corporazioni dal tardo medioevo alla fine del XVIII secolo.
Sfogliando il catalogo, è possibile imbattersi nella edizione a stampa degli Statuti di Faenza del 1527, per altro ancora oggi leggibili in una vecchia tiratura della Zanichelli del 1930, curata da mons. Giuseppe Rossini sotto la direzione di Giosue Carducci: in realtà si tratta della V parte del 28° tomo della ristampa muratoriana dei “Rerum Italicarum Scriptores”.
Tracce del Niballo: uno schizzo negli Statuti faentini

La pagina del Catalogo della raccolta di statuti della Biblioteca del Senato della Repubblica, che riguarda Clemente VII e il ritratto del Niballo, edizione del 1527.
A proposito del testimone del Senato, dato alle stampe a Faenza la vigilia di Natale del 1527 sotto i torchi di Giovanni Maria Simonetta, vale la pena soffermarsi sulla carta di dedica al Regnante sanctissimo in Christo Patre, et domino nostro d. Clemente papa septimo, sulla quale figura uno schizzo a penna di color scuro, che riproduce praticamente in modo inequivocabile il profilo di quello che oggi noi ereditiamo con il nome di Niballo, antroponimo equivalente ad Annibale, da cui il gergale Aniballo, la ben nota sagoma a mezzo busto raffigurante il saracino, il moro, nemico per antonomasia dei cavalieri cristiani in età medioevale.
L’ignoto ritrattista, che per ragioni da chiarire in altra sede andrebbe, a nostro giudizio, collocato in un arco temporale più vicino a noi (molto probabilmente alla prima metà del XIX secolo), riproduce altresì in modo pressoché accurato quelli che potrebbero essere gli elementi costitutivi e diciamo permanenti del campo della giostra: in modo particolare merita una riflessione il rapido tratteggio della lettera capitale “H” dell’incipit proemiale “Humanas leges mortalibus divinitus tradita esse”.
La minuziosa descrizione in lingua latina delle scenografiche feste del palio nel VI libro degli Statuti faentini, alle rubriche 43-44, sono prova ulteriore della intraprendenza della signoria faentina nel confezionare il proprio corpus legislativo per la comunità urbana.
L’occorrenza di questa notizia non è data unicamente nella cornice del palio: in verità è legata al fatto che preme evidenziare che la storia locale faentina urge di una maggiore sensibilità alla ricerca storica, per riscoprire le fonti, meravigliose tracce del passato da far rivivere nel mondo contemporaneo.
Michele Orlando